sabato 15 gennaio 2011

Quegli anni : io li ricordo così

Antonio Menna

Erano gli anni '60, gli anni di piombo, per la mia generazione, una contrapposizione ideologica che passava per l'odio e la violenza; le nostre famiglie erano reduci dalla guerra e non c'era da stare allegri, tanti di noi sentivano il bisogno di unirci, di essere comunità in ascolto, di condividere la speranza per la giustizia, per la pace, aspiravamo ad una società inclusiva, solidale, un po' controcorrente rispetto ai cliché dell'epoca.
Ci ritrovammo a San Carlo alle Mortelle, Napoli, da poco diventata Parrocchia con Franco Alfarano e con Lui, pian piano. demmo inizio all'Associazione Gioventù Unita. La Parrocchia era immersa nel sociale con il suo ambulatorio medico, la diffusione della stampa cattolica, l'incontro con la gente e l'intensa partecipazione attiva alla liturgia, la Messa delle 9,30 fu modo per sentirci Comunità in cammino, Franco Alfarano ci spiegava la rivoluzione dell'amore di Dio, il dono della Fede, il senso profondo e condiviso della Testimonianza.
Aprimmo ai bambini e ai giovani, prima solo maschi e poi la sezione femminile, c'erano giochi per intrattenerci, libri e il mercoledì sera una riflessione-dibattito con il teologo Don Romualdi. Da qui tante iniziative: la squadra di calcio con la divisa grigio-nera, il Teatro con Matteo Ricciardi, un anticonformista      illuminato, che credeva nei giovani e gli dava spazio e consigli, pur geloso della sua laicità, e ricco di ironia e sarcasmo.
La Gioventù  Un ita, a differenza di tante comunità parrocchiali, era trasversale alla Città, venivano da tutti i quartieri, di ogni età, studenti e lavoratori, credenti e non e, nonostante le differenze non solo di età, talvolta, ma anche di condizione economica di provenienza, eravamo una comunità d'eguali, nella propria diversità, solidali e quel più conta AMICI.
Tra le tante iniziative, ricordo, oltre alle rappresentazioni teatrali, la gita al Faito dove aveva una casa Luigi Cattaneo, e grazie ad Aldo Palazzo e non avendo molte disponibilità. comprammo panini e companatico presso uno spaccio militare.
Poi andammo ad una 3 giorni a Pompei, per una riflessione comune con i giovani della Diocesi, promuovemmo un incontro sull'impegno dei cattolici in politica con la Federazione Giovanile Comunista, facemmo un incontro con dei giovani dell'Azione Cattolica Francese, facemmo il corso per diventare "Lettori" durante la Messa.
Ma da tante idee e speranze, sentimmo il bisogno di stilare un documento su Napoli, Lettera al Sindaco, pubblicato da molte riviste e giornali tra cui quello dei Vincenziani a Via Nevio e ripreso come inserto da Il Regno; fu un grido di denuncia,
una rivolta delle coscienze, una testimonianza forte e vivace.
Erano i tempi di Don Milani, Mazzolari, Juan Arias, Von Balthazar (quello dell'Inferno vuoto, perché la Misericordia di Dio è più grande dei peccati umani), la teologia della liberazione, la partecipazione attiva dei fedeli al culto.
Franco Alfarano, nelle sue appassionate omelie, già ci parlava che dove c'è pace, giustizia, amore, là c'è Dio e che dovevamo perseguire nel quotidiano quegli obiettivi, scegliendo senza infigimenti o perbenismo caritatevole di maniera. di essere sempre con gli ultimi, i più deboli.
Dopo la messa "sociale", organizzavamo anche feste e musica, presso la casa di alcuni di noi: 45 giri, patatine, un po' di coca cola e     qualche sigaretta sfusa (allora si vendevano in bustine) , le nostre feste erano belle, allegre, spensierate, solo due di noi avevano un mezzo di locomozione Mariano Mastrolanardo con la sua Lambretta e Fulvio Piccolo con la sua Garelli, allietati dall'ironia di Gino Cogliandro (quello dei tre tre) e Aldo Palazzo.
Tra le cose che Alfarano ci aveva inculcato  era il senso delle parole e dei comportamenti, il ti voglio bene aveva in sè l'affetto, l'amore, la condivisione, senza allusioni o secondi fini, l'amicizia era un valore imprescindibile di solidarietà, di confidenza....ricordo ancora le fobie di Claudio Garofalo, l'humour di Flavio Ciappa, la vespa, poi tappezzata da me di giornali di Aldo, le escursioni con Antonio Salzano a Via Petrarca al MiraNapoli, dividerci i soldi per il...caffé, ricordo con affetto la dolcezza di Susi Del Santo, la grinta di Teresa, la vivacità intelligente delle sorelle Stevens, l'impenetrabilità di Marta Bourcier, le giovanissime sorelle Mussolini, rivoluzionarie e rivoluzionatrici e tanti, tantissimi amici ed amiche.
Alfarano ci aveva insegnato come con fede perseguire la speranza, il significato profondo di essere altro, la rivoluzione dell'amore e della pace :comunità in cammino, comunità in ascolto..
Matteo Ricciardi, ci aveva insegnato ad apririci al mondo, ad accettarne le sfide, a non arrenderci davanti alla illusione e o peggio alla disillusione.
Sono passati oltre 40 anni, oggi i sentimenti, i valori sono usa e getta, le relazioni vuoti a perdere, il Paese è diviso, prevale l'egoismo, l'opportunismo, la cialtroneria: corrotti e perché no corruttibili.
I programmi politici sembrano spot pubblicitari, pieni di vuoto e nessunismo, il SERVIZIO è inteso come privilegio da difendere da caste, cricche, bande, al Popolo viene offerto il Grande Fratello o le veline, come modello facile di vita, di escort siamo pieni le scatole, come di cachemire a Cortina, o barche, o case terrazzate.
Oggi, come ieri, con il blog S. Carlo alle Mortelle, possiamo ricostruire una comunità, al di là delle scelte di vita, possiamo viverlo il nostro tempo e non trascorrerlo, un dono a tempo di cui non siamo arbitri,
con un dovere e un impegno, DARE SPERANZA ad un Paese ammalato di qualunquismo, a pochi o molti NON IMPORTA, "se il seme non muore, il germoglio non nasce", ritrovare noi stessi e gli altri, capaci di rinnovare e rinnovarci, convinti come siamo che anche a chi Dio non interessa, Dio è interessato a lui.

                                                                                                                 Antonio Menna


 

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