venerdì 10 ottobre 2014

Contributo di Gianni Vigilante per il recupero della piazza

A sette mesi dall'incontro avuto presso la sede Universitaria di Suor Orsola Benincasa, i lavori di ristrutturazione della Chiesa di San Carlo sono in corso, il Centenario della nascita di Antonio Altamura è stato dignitosamente celebrato ed ora è il momento di passare alla fase di recupero della piazza con un progetto semplice ma funzionale che restituisca alla zona antistante la Chiesa un minimo di decoro.
Nel corso del citato incontro l'amico Architetto Gianni Vigilante tenne una sintesi della relazione che quì di seguito pubblico e che generosamente ha inteso porre a disposizione per uno studio più analitico degli interventi necessari da sottoporre nelle appropriate sedi istituzionali.
Colgo l'occasione per ringraziarlo ancora una volta unitamente ad  Ezio Aliperti Presidente  dell'Associazione Culturale Futura per il prezioso contributo.
  
Il Poggio delle Mortelle 
di Gianni Vigilante*



La città è narrazione. Racconta se stessa ad ogni cantone, nelle pietre, negli intonaci scialbati, nelle sue sonorità. Con questo assunto mi sono avvicinato alla progettazione urbana. Il linguaggio di questa narrazione è assimilabile a quello letterario, pittorico, musicale, teatrale, cinematografico. La quarta dimensione lo spazio/temporale è quella che permette di comprendere e dà gli strumenti per intervenire, con il dovuto rispetto, nello spazio urbano che dà le priorità ai personaggi, le facce di pietra, il protagonismo delle architetture, e al contrappunto degli episodi minori, quinte di per se insignificanti, ma di valore d'insieme, le visioni improvvise che si presentano, le fughe prospettiche e le meraviglie che costellano la nostra città: “il bello del quotidiano” (Bonito Oliva). Non per narcisistico esercizio di professione, quindi. né per espressione di se stessi, non per ventura, ma chi interviene deve saper “guardare e vedere” (Paolo di Tarso), misurare il proprio fare per far risaltare al meglio quello che esiste, che è già compiuto da secoli, senza aggiungere, con qualità, valorizzando gli ambiti, i percorsi e gli spazi del tessuto urbano con gli strumenti dell’avanzare del piede, dello sguardo, del tatto, dell’udito, del proprio bagaglio culturale.
L’invaso urbano di Piazzetta San Carlo alle Mortelle è una pausa nello scandire caotico nell’intreccio di vicoli che dal Petraio portano fino al mare in un susseguirsi di visioni dall’alto, di squarci e di accadimenti, di misteri da svelare. La pausa è più che altro visiva, poiché lo sguardo si ferma discreto sulla facciata della chiesa, il passo va oltre e ignora il resto per pudicizia.
Nel mezzo del laissez-faire e della disillusione, Il degrado intristisce il passante, sebbene sia usuale in questa città fatiscente, e induce a passare oltre, verso piazzetta Mondragone e giù per rampe e scalinate fino al Largo di Palazzo o a via Filangieri, dove spicca elegante la chiusura prospettica del Palazzo Mannajuolo, negata da un albero messo lì da un notabile storico dell’architettura, già preside della facoltà di architettura; ignaro.
Il recupero della qualità urbana resta ancora una buona intenzione, dallo sventramento del rettifilo dell’Italia e dalle colmate a mare di Santa Lucia postunitarie; dal tempo del “Regno del possibile” che aveva entusiasmato i cittadini e risvegliato gli appetiti degli speculatori, fino ad oggi, al Programma Unesco per la valorizzazione della città storica: ultima spiaggia alla quale non si riesce ad approdare per il mare grosso degli interessi di parte. Con esisti raramente apprezzabili. Ma Neapolis, nonostante tutto, sopravvive e mostra la sua natura divina anche in un frammento di mare.
In tutto questo però è confortante che un gruppo di amici si dia da fare per difendere la propria radice, un luogo. Ogni strada, ogni piazza ha un valore; come ogni antica città ha stratificato una sull’altra le sue mura, così ogni spirito si regge sulle memorie della una comunità. Ed è al di là di ogni valutazione storico-artistica, che la cura della città una generazione deve alla successiva. E quindi va dato merito a chi si è mobilitato, senza alcun interesse, che quello di rinverdire i ricordi, di alimentare culture che sono di tutti. Questa impresa è encomiabile, poiché traccia un cammino che ognuno può fare. Può essere questa una modalità operativa che, venendo dal basso, faccia da stimolo a chi ci rappresenta nelle istituzioni; una bottega del fare con le risorse che abbiamo, affinata con l’arguta intelligenza che a noi napoletani non manca. È una occasione per fornire un abbecedario che dia le basi a tutti quelli che sono ancora mossi da amore per questa città, che vogliono darsi da fare in prima persona. Questa è partecipazione.
La piazza è conformata su due piani, ma in un unico spazio: uno è costituito dalla strada tangente che viene dal corso, l’altro è lo spazio antistante la chiesa; le cortine edilizie che avvolgono entrambe; in origine forse, questo fu un modo di irreggimentare le acque pluviali che scorrevano libere.
La visione dell’edificio più rappresentativo, la chiesa, richiedeva un punto centrale di vista, e uno spazio chiuso e abbastanza grande per celebrare gli eventi. In questa organizzazione di spazi la rampa sembra funzionare da loggia, dalla quale si poteva assistere alle cerimonie all’aperto. L’insieme dà un senso di armonia e lo spazio è percepito concluso, poiché la tangente di via Filippo Rega si apre di lato ed è nascosta alla vista, e le cortine edilizie in questo spazio teatrale, fanno da quinte.
Diceva Vitruvio che lo spazio al centro appartiene ai gladiatori e si nota questo in molte piazze italiane; per esempio a Firenze a piazza della Signoria, statue e fontana non sono poste al centro, ma ai lati. Il centro, io dico, non essendoci più gladiatori, è per lo scambio sociale, per l’afflato, per chi celebra rituali.
Ho potuto toccare con mano quanto ciò fosse vero, accompagnando Ezio Aliperti ed Antonio Salzano, quando ci siamo fermati a raccogliere i saluti di conoscenti ed amici.
Sono tanti i luoghi, anche più noti di questo, nelle stesse condizioni e talvolta anche peggiori; fa sempre male, a chi ama Napoli, rilevare, superando l’abitudine, ciò che è in dissesto morale, etico e culturale nella nostra città.
La chiesa, chiusa da quattro anni è ingabbiata da teli; dei due edifici prospicienti, graziaddio uno è stato oggetto di un intervento accettabile, l’altro è in completo abbandono. Oltre la rampa gli edifici hanno un discreto stato, ma su tutti, trame di fili e tubi ed atre faccende disegnano ragnatele di pressapochismo. Gli enti che operano nella fornitura dei servizi, non controllati da alcuna autorità che faccia rispettare le regole, hanno libero campo. Il loro scopo è quello di fornire servizi e per ciò che si sceglie la strada più breve; economica per gli operatori, non per i proprietari degli immobili che vi si affacciano, poiché il decoro e la bellezza si traducono in denaro quando si stima un edificio: ciò che darete vi sarà dato, non solo in termini di mera materia.
Il muro di sostegno della rampa mostra muri sbrecciati, bauletti di pietra corrotti dai fuochi attizzati dai soliti ignoti. Una edicola votiva conserva ancora la sua dignità per la cura di qualche devoto; in mezzo c’è il parcheggio convulso e disordinato. Passa raramente un’auto. Campeggia l’indecenza dei contenitori dell’immondizia. E del mirto, genius loci evocato nell’antico nome, non v’è traccia. Di queste presenze s’è persa la traccia e del sostantivo “mortelle” pochi conoscono il significato.
Mi ha sempre sorpreso che gli abitanti di questa città non considerino lo spazio pubblico; è una entità che non gli compete. Nelle periferie, dove notavo la cura puntuale per gli altarini edificati alla fede, illuminati e lustrati, mentre il campetto di basket realizzato da noi, dal Comune di Napoli, era stato distrutto in pochi mesi.
Una volta le feste legate al luogo fornivano la connessione tra abitanti e lo spazio urbano in cui essi stessi si sentivano rappresentati e si identificavano, oggi le feste legate ad un edificio religioso, alle fontane a un quartiere sono ricordi lontani. Peccato poiché questo univa gli abitanti ai luoghi ed essi ne riconoscevano e tutelavano l’integrità. Mi auguro che la chiesa possa aprire al più presto i battenti e riempire la piazza nelle ricorrenze: questo è essenziale per ridare pregnanza alla piazza.
Cosa fare quindi a piazzetta San Carlo alle Mortelle? Ben poco se dobbiamo scendere a compromessi con la raccolta dei rifiuti solidi urbani, il carico e scarico differenziato, la sosta selvaggia e la viabilità. Darla vinta senza coraggio al comune senso di angoscia, al balbettamento tra il fare e non fare e mentre si dissipa la ricchezza comune, ci lascia con le mani vuote. Cosa serve? Un maquillage sulle gote pallide e smunte dell’infermo, a noi che siamo al capezzale, prima di seppellirlo? Ragionando al meglio, anche se un poco idealisti, ritroveremo lo spirito giusto, il sentimento che abbiamo nei confronti di questa città. Diversamente accontentiamoci e senza rispetto facciamo l’indispensabile, ma questa scelta spetta a chi rappresenta la polis, al parente più prossimo che tiene la borsa, non a chi è cosciente del male, ma non ha conoscenze ne risorse per curare, ne al dottore che conosce la scienza e prescrive la medicina, ma non può imporla.
Sostengo da tempo e ho applicato nei miei interventi di arredo nel centro storico, la regola: “less is more - il meno e più” (Mies van der Rohe). Un assessore, la dottoressa Parente mi chiese: “archite’ e che avete fatto? Dove sono le panchine?”. A piazza san Domenico maggiore nella parte a valle che configura una strada, avevo sostituito la pavimentazione in cubetti di porfido del Trentino con il nostro basolato vesuviano. Non lo aveva notato e questo fu per me la conferma di essere sulla giusta strada Sono contrario alle istallazioni dissonanti, che prendono campo a discapito di presenze più antiche e più sagge: ogni luogo ha una sua identità che va compresa, rispettata e difesa: è una sinfonia già scritta da mani sapienti. Nella città stratificata, rimettere a posto un basolo, ristabilire gli assetti, ripristinarne le finitura superficiale, è più proficuo che inventarsi nuove stupefacenti pavimentazioni. “Il disegno urbano è un’arte e non una scienza” (Kevin Lynch), e di un’opera d’arte urbana già definita, dobbiamo applicarci al recupero e al restauro e renderla al meglio fruibile e integrare le tecnologie come strumento che ci aiuti a operare meglio nel rispetto delle preesistenze. Possiamo dipingere i baffi alla Gioconda? Sì, purché sia una copia. Il “ready-made” dissacratorio di Duchamp ce lo insegna. Non condivido quindi interventi del tipo Mendini in villa Comunale, sono per il ricorso ad una azione sottile, leggera, discreta. Non c’è da discutere sulla scelta dei complementi di arredo, sul lampione o sulla panchina, ma sul loro inserimento nel contesto. Non è una questione di design, ma di architettura. Ma, si sa, gli apparati degli enti preposti scelgono un nome altisonante: elimina ogni dibattito e gli risparmia le critiche.
Ciò detto, andiamo a puntualizzare presupponendo che l’intervento di recupero urbano sia finalizzato al recupero dell’immagine urbana di qualità, della fruibilità e del confort dell’area attraverso una metodologia efficace.
Interventi propedeutici: Prima di ogni intervento di Arredo Urbano si predispone una ispezione alle all’impianto fognario pubblico per il riassetto di eventuali dissesti e il recupero manutentivo. Lo stesso dicasi per i tracciati delle forniture pubbliche di adduzione di acqua, elettricità, telefonia, delle tubazioni e dei cavi attualmente sulle facciate.
Viabilità: il luogo, nato con ridotte esigenze di circolazione, è oggi fortemente condizionato da un intervento di edilizia sostitutiva nel primo tratto di via Rega, databile negli anni ’70, che ha determinato un carico urbanistico ai limiti della sostenibilità. L’unica via di connessione, di questo flusso di traffico, la viabilità ordinaria, resta quindi il percorso che attraversa la piazzetta, poiché a valle, verso Chiaja, ci sono le gradonate che conducono alla Vetriera. Di conseguenza, non essendoci alcun controllo, la mobilità risulta caotica e difficoltosa essendo usata nei due sensi. Il pensiero di poter fare del largo un polo di attrazione è quindi da accantonare pur avendone essa i requisiti: evento inaspettato, la presenza dominante della chiesa, il fuori strada che amplia ancor più lo spazio. Si sarebbe potuto considerare di favorire piccole attività di ristoro da inserire nei locali che si aprono a livello stradale, dotare lo spazio di Wi-Fi e organizzare piccole manifestazioni. Poco realistico potrebbe sembrare il ricorso a dissuasori a scomparsa con apertura riservata ai residenti e ai commercianti, per limitare il flusso e la presenza di auto, ma perseguibile, se l’amministrazione garantisse il controllo del territorio a cui è preposta.
Illuminazione pubblica: adozione di caratteri illuminotecnici per il risalto delle presenze architettoniche di pregio e della comune illuminazione con arredi d’epoca riportati nelle foto Alinari del secolo scorso e ritrovabili ancora in città, nel Miglio d’oro, presso Portici e li ho visti perfino in Sicilia ad Acireale e a Catania, e riportavano il marchio della fabbrica napoletana. Li conservano bene e con cura e se ne potrebbe ricavare un calco.
Nettezza Urbana: lungo la rampa di accesso all’area potranno essere configurati punti di raccolta differenziata interrata. Il vano, opportunamente mascherato sarebbe accessibile agli utenti e agli addetti nelle ore consentite. In ogni caso il loro stato dovrà essere decoroso e oggetto di pulizia frequente. Deve essere garantito lo spazzamento e, se occorre, sanzionare chi non rispetta il decoro riversando cartacce, cicche ed altro sul suolo pubblico. Piano del colore. Il recupero della qualità urbana vi passa senza dubbio. Bisogna dare indicazioni certe ai condomini. Va considerato con attenzione che vanno conservate le finiture di facciate, le parti lapidee di paramenti e cornici in pietra e marmo e la presenza di edicole votive d’epoca, targhe commemorative, evitando in special modo di modificare le aperture e l’adozione di tecniche e materiali estranei alle tradizioni locali. Ci sono ricerche da fare sulle cromie, recuperabili nelle stratigrafie, tra le testimonianze narrative e d’immagini rintracciabili nei dipinti d’epoca.
Consiglio all’Amministrazione l’emissione di Ordinanze Sindacali per il recupero delle facciate dei fabbricati incidenti sull’area. Uno strumento usato in passato, applicabile a tutta la città per la salvaguardia del decoro urbano, in primis alle aree urbane di pregio (Si pensi al Lotto 0 di via Filangieri il cui dipinti in facciata presentano rigonfiamenti preoccupanti). Ciò obbliga i privati ai lavori di ripristino ed in mancanza, a lavori eseguiti dalla Amministrazione Comunale in danno dei proprietari. Inoltre costituirebbe un apporto notevole di lavori e occupazionale per il settore edilizio.
Barriere architettoniche. Riguardo al controllo delle pendenze per favorire l’accessibilità agli spazi pedonali circoscrivibili con dissuasori della sosta scelti ovviamente con cura e nel caso recuperando tipologie preesistenti. Il basolato dovrà essere riassettato e lavorato in superfice a puntillo per una agevole percorrenza pedonale. Il muretto di coronamento della rampa potrebbe essere demolito e sostituito con una ringhiera che consenta una maggiore visibilità della piazza dal piano inferiore. una minore incombente barriera, fatto salvo il suo caposaldo in pietra viva.
Restauro degli arredi d’epoca: lapidi e edicola votiva sulla rampa dovrebbero essere sottoposte a restauro e recupero. Caratteri delle opere in ferro dell’età postindustriale, che l’edicola presenta, vetri opportunamente scelti nella colorazione dell’epoca, sua illuminazione, visibilità ed accessibilità.
Arredo verde: Il mirto presente, fino a qualche anno fa, dovrà essere ripristinato, poiché è elemento fondamentale dello Genius loci. La traccia di questa presenza è ritrovabile nelle due aiuole presenti ai lati della edicola votiva di cui sopra, in pietra basaltica di buona fattura.
Esercizi commerciali: controllo dello spazio ad essi destinato delle vetrine e delle insegne, tabelle informative, tendaggi, arredi mobili a servizio (tavoli sedute) che dovranno essere confacenti al decoro ed alla immagine della città. Incentivazione per le attività di ristoro (bar e ristorazione di modesta entità). Le concessioni per il cambio di destinazioni e le licenze di esercizio potrebbero essere senza oneri per i richiedenti, per incentivare il privato.
Manutenzione urbana. Degli operatori di servizi e forniture pubbliche s’è già detto: essi lasciano il segno sia sulle pavimentazioni che sulle facciate, ma poniamo attenzione anche alla manutenzione che in questa città non si applica in senso continuo. Non si sostituisce una pietra, si preferisce un badile di asfalto stradale per poi intervenire alla fine del disfacimento totale. Intanto; in attesa della manutenzione straordinaria, l’immagine della città va in malora.

* Achitetto,Scrittore e Poeta -  Esperto di arredo urbano. Sua la prima isola pedonale di Napoli degli spazi antistanti l’Accademia di belle arti e diversi altri: da piazza Vittoria agli spazi esterni di santa Chiara; da via Leopardi a via Nicolardi.

3 commenti:

  1. Gianni Vigilante
    Grazie Antonio per l'amore, che ci unisce, per la nostra vituperata e bellissima città.

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  2. Filippo Coletti
    Grazie Gianni per il tuo contributo per la nosra bella Napoli.

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  3. Rosanna Hallecker ·
    Grazie a tutte quelle persone che sì impegnano al recupero e al decoro di questa nostra città, restituendole la bellezza che merita.

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