sabato 31 gennaio 2015

Il ricordo : Antonio Altamura



         31.1.1980 - 31.1 2015


"...Cesare Caravaglios - che fu figlio d'insigne musicista e musicologo provetto egli stesso e studiò in diversi suoi saggi specialmente l'elemento musicale delle voci di Napoli, di Roma, della sua originaria Sicilia - sosteneva che i più antichi moduli della canzone napoletana provengono appunto dai gridi-canti dei venditori ambulanti , attraverso però il tragico canto a ffigliola, quello cioè che nasceva nelle carceri e negli ambienti della malavita, intriso d'odio e di vendetta, costruito su alcune cadenze caratteristiche e invariabili, alle quali venivano intercalati risate ironiche e gridi selvaggi così improvvisi da gelare il sangue, risonanti nel pieno silenzio della notte nei quartieri bassi della città ed echeggianti da un lato all'altro delle vie, quasi a invito e a risposta, ora modulati da voci armoniose anche se lugubri, ora roche e rabbiose e tragicamente premonitrici di accese zumpate e di premeditati omicidi.
La voce napoletana poggia , com'è noto, sul più ovvio elemento musicale, cioè sulla scala degli armonici, con l'uso della settima minore invece della maggiore e con l'uso della quarta alterata, che nella serie degli ipertoni corrisponde all'undicesimo armonico. Quel che c'è di particolare in un così elementare tessuto musicale è però l'intonazione che il venditore -cantore riesce a dare alla sua stesa : ora triste e dolente, ora struggente e nostalgica, ora arguta ed ammiccante. Si è parlato di una identità tra le voci di Napoli e i cris di Parigi: ma, in quanto  musicalità, penso che i così vari e molteplici ritmi di Napoli  potrebbero essere avvicinati - in quanto a ricchezza d'impianto musicale - soltanto ad alcuni motivi ungheresi rielaborati da Listz nelle sue rapsodie . E' ovvio che le voci napoletane sono appena degli spunti melodici :ma da essi quante canzoni di Tosti e di Costa son nate, quante di Valente e di Denza, di Gambardella e De Leva!....."

                                                                  Antonio Altamura 



Facìteve 'o broro 'e vongole,vongole!
'O lùvero verace, chi s' ' o magna?
Calamarielle e secce: facìteve 'o pignatiello!
L'ustricaro fisico! Chi accatta osteche,ancine,spuònole,cannulicchie e fasulare?
Fattillo cu' 'o limone stu cefalotto 'e mare!
Na bella fella 'e tonno, accattatavella!
'E Pusilleco, 'e Pusilleco stu pesce :vi' c'addore!
Vuie vulisseve 'e cannulicchie e l'osteche d' ' o Fusaro?
L'osteche pe' ffà 'ammore! Ve l'ha mannate 'a 'nnammurata vosta! Magnate, songo 'e fraule d' 'o mare!...
E' bella 'a cozzeca, guagliò! Nera 'a fora e rossa 'a dinto! Tengo 'a cozzeca callosa!...
 ( da Le "voci" di Napoli - ed. SEN - 1977)                                  

venerdì 30 gennaio 2015

Palazzo Rodinò/ Il Ricordo


Ricevo un bel ricordo di Palazzo Strachan Rodinò, dall'amico Costantino Longano che pubblico con piacere ed anche con un po' di commozione specialmente per la parte che riguarda le ragazze non vedenti, il cui ricordo è sempre vivo di una Istituzione che ha servito la comunità parrocchiale con un coro di voci angeliche che difficilmente si riesce a dimenticare.
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Due passi nel mio quartiere, via Filippo Rega, mi fermo davanti al vecchio..pesante portone dell'ex Istituto Strachan-Rodinò, Collegio per fanciulle cieche, ormai chiuso da circa un ventennio.Un Istituto tenuto da un ordine monacale che gestiva anche l'asilo d'infanzia e la scuola elementare.Con gli occhi dei ricordi apro quel portone e salgo la scalinata a sinistra...scalini di piperno consumati dalle scarpe di emaciati ma esuberanti bambini per l'età e la libertà che era nell'aria dell'immediato dopoguerra.Al primo piano a sinistra la Cappella con una bellissima statua dell'Immacolata sempre adorna di freschi e profumatissimi fiori...c'era tanto profumo che avevi la sensazione di vivere in un miracolo, a destra le ampie aule delle tre classi elementari maschili, la prima aula era tenuta dalla terribile suor Aureliana, unica vera torturatrice tra tante altre sorelle dolci e pazienti coi bambini, questa suora che starà...dopo 70 anni...ancora in Purgatorio...bacchettava sulle piccole mani, pizzicava dolorosamente sulle natiche, ti metteva in ginocchio su chicchi di granone e ti tirava la lingua...per non lasciarsela scivolare dalle dita la tirava tenendo un lembo della sua tonaca tra le mani..e tirava...tirava.... nella seconda aula c'era suor Felicina e nella terza la...baffuta suor Lorenzina, entrambe ottime educatrici. Sia la Cappella che queste aule affacciavano sul grande giardino pensile che si estende su locali ed abitazioni sottostanti, sempre vivo e stupendo il secolare glicine che avvolge l'ala sinistra dell'edificio.Al secondo piano salendo una scalinata con soglie di lavagna sottilissima e consumava,a sinistra c'erano gli alloggi delle ragazze cieche, affettuosamente definite nel quartiere come " 'e cecatelle", e le aule dove svolgevano le loro attività di cucito, ricamo e canto. A destra, tramite un ampio e lungo corridoio si accedeva alle aule dell'asilo Maria Pia di Savoia ed a quelle delle elementari femminili; nel 1952 vi fu gran tripudio per la visita del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. Quelle classi erano amorevolmente guidate da suor Clelia, suo Carmelina, suor Matilde e l'anziana..dolcissima madre superiore che era suor Olga.Al terzo piano...quello che si erge fino al livello di Vico S. Maria Apparente, ancora locali riservati agli alloggi delle suore, il refettorio ,le dispense e le cucine. La piccola porta marrone che da sulla strada era adibita al movimento delle merci. Tanti ricordi....tanti flash back di giornate anche felici, nelle nostre miserie del dopoguerra.Cosa resta,....un immenso e fatiscente edificio ramificato su tre strade, un immensa rovina abbandonata, che potrebbe servire, eccome potrebbe servire...Aggiungo che...nei ricordi, l'ultima ciechina che accettò l'Istituto fu Maria Grazia, arrivò che era una bambina di nemmeno 10 anni, bellissima e vivace, fu amatissima nel quartiere e tutti le si volevano avvicinare per toccarla...abbracciarla...baciarla. Dopo la chiusura dell'Istituto, Maria Grazia non aveva una famiglia dove tornare e volle restare nel quartiere.Oggi la puoi incontrare dove vive attualmente, al Cso V. Emanuele in un alloggio privato nell'edificio della Scuola Rinaldi. Sta bene ed è seguita da una bravissima famiglia della zona.
                                                 Costantino Longano

Alla fine del 1861 Leopoldo Rodinò fondò a Napoli l'Opera per la Mendicità a sostegno dei mendicanti. Nel corso dei primi anni, l'Opera agì talmente bene che ottenne la fiducia del popolo napoletano, la cooperazione del Governo ed anche le lodi degli stranieri, tanto da poter fondare altre opere di beneficenza. La principale fu quella destinata all'educazione e all'istruzione delle giovani donne cieche costrette dai genitori a mendicare (per i maschi era già stata istituita l'Opera Pia di S. Giuseppe e Lucia a Chiaia). La promotrice fu Lady Strachan, marchesa di Salsa, che diede al fondatore e presidente una somma cospicua di denaro affinché potesse prendere vita a Napoli questo istituto educativo. Alla fine del 1868 l'Opera per la Mendicità si sciolse, ma il Consiglio direttivo decise che la Scuola Speciale e il Convitto per le giovani cieche continuassero a vivere e portassero il nome della nobile Lady Strachan.
L'Opera Pia Scuola e Convitto fu costituita in corpo morale con Sovrano decreto del 19 febbraio 1869 con approvazione dello statuto organico, ed è stata trasformata successivamente in Fondazione con la denominazione di "Istituto Strachan Rodino" per l'assistenza ai minorati della vista.

giovedì 29 gennaio 2015

Palazzo Strachan Rodinò


Per quelli della mia generazione era il palazzo delle ciechine o de cecatelle, (Cerca nel Blog :Curiosità : il coro delle "ciechine" del 16.2.2011), il Convitto Strachan Rodinò per le fanciulle non vedenti che allietavano con le loro voci angeliche le liturgie solenni della Chiesa di San Carlo creando un'atmosfera mistica unica.

Il Palazzo, con un portale di piperno magistralmente lavorato, fu in origine la sede delle manifatture medicee fiorentine, fabbrica degli arazzi, sede della lavorazione delle pietre dure e prima sede dell'Accademia delle Belle Arti successivamente trasferitasi prima in piazza Cavour e poi definitivametene nell'attuale bella struttura di via Costantinopoli, ex Convento di San Giovanni Battista delle Monache (Cerca nel Blog:Accademia di Belle Arti di Napoli del 25.1.2011).

Verso metà '800 su pressione dell'Ordine degli Scolopi che desideravano ampliare gli spazi a loro disposizione, Re Carlo di Borbone ordinò di trasferire l'opificio presso il Real Albergo dei Poveri, ordine che non fu mai eseguito volendo le maestranze ed il loro direttore Pietro Valente restare nella sede dell'allora salita San Carlo alle Mortelle successivamente via Filippo Rega.

Oggi è prevalentemente abitato da famiglie con eccezione del primo piano di proprietà comunale che risulta abbandonato ed in cattive condizioni con infiltrazioni d'acqua piovana che potrebbero seriamente pregiudicare l'incolumità di chi abita al piano terra.

A seguito di alcune segnalazioni di abitanti preoccupati per alcuni rumori provenienti dalla proprietà comunale, l'Associazione Futura ha interessato l'Assessorato al Patrimonio che, si spera, voglia accertare con sollecitudine quanto segnalato.



sabato 17 gennaio 2015

'O cippo 'e Sant' Antuono

Volentieri pubblico un commento - poesia, oggi pervenuto dal Poeta Raffaele Pisani, al post pubblicato due anni fa e che ripropongo con piacere. 

Ringrazio Raffaele Pisani per i bei versi e mi unisco al suo ricordo ed alle sue emozioni di un rito che anche in San Carlo alle Mortelle era motivo di festa per gli scugnizzi del quartiere che provvedevano al ritiro degli alberi di Natale e quant'altro potesse alimentare il fuoco.



17 gennaio, festa popolare di S. Antonio Abate. Nel vecchio quartiere che prende il nome del santo si celebra una grande festa in suo onore e vi si svolge la cerimonia della benedizione degli animali. Di sera, in parecchie strade di Napoli, in particolare quelle più popolari dove ancora vivono tanti napoletani veraci, si accendono grandi falò sperando che "Sant'Antuono", in cambio di cose sgangherate… ma, soprattutto, dei tanti problemi irrisolti che continuano ad umiliare l'intera città, bruciate in questo fuoco scintillante ed esorcista, ci dia un domani migliore, in tutti i sensi! Io voglio ancora crederci! 

Sperando possa interessare a qualcuno riproduco la descrizione di un falò e delle emozioni che " 'o cippo" faceva vivere ad uno scugnizzo, figlio dei vicoli di Napoli, oltre una cinquantina di anni fa:

 ’O CIPPO ’E SANT’ANTUONO

È sera. ’Npont’ ’o vico ’o cippo è pronto./ È na catasta ’e rrobba vecchia, dinto/ ce sta nu poco ’e tutto: segge sfunnate,/ tàvule zoppe, sarcenelle, casce,/ na cònnola scassata, nu siggione,/ na meza perzïana scancariata/ e trezzïole/ c’hanna sparà comme s’appiccia ’o ffuoco./ Ncopp’ ’a catasta/ s’agghionta ancora rrobba,/ e cchiù ’o muntone cresce/ cchiù se fa allera ’a voce d’ ’a maesta/ ch’allucca: – “Bona ge’, jammo, menate,/ ca Sant’Antuono/ se piglia ’o bbiecchio e po’ ve torna ’o nnuovo” –./ Che friddo. Che scurore. Po’, a’ ntrasatta,/ comme s’appiccia ’sta catasta, ’o vico/ se ienche ’e luce, ’e càvero, ’e priezza:/ che vuo’ cchiù friddo, pare ’o mese ’austo! / Porte spaparanzate, allucche, sische,/ gente affacciate, vecchie mmocch’ ’e vasce,/ chi sbatte ’e mmane, chi s’appila ’e rrecchie/ quanno ’e ttrezziole sparano, chi canta,/ chi se mpruvvisa a ffa’ na tarantella,/ chi ’a coppa votta ancora rrobba vecchia,/ chi s’avvicin’ ’o ffuoco, chi se scanza,/ chi corre, chi se nquarta, chi pazzea,/ chi ride, chi se fa nu segno ’e croce,/ chi guarda ’ndifferente,/ chi arape ’o core a n’esistenza nova/ e a Sant’Antuono manna na preghiera,/ suspira na prumessa,/ affida na speranza.



Raffaele Pisani
www.raffaelepisani.it

Ritengo fare cosa gradita proponendo uno stralcio di uno scritto  di Francesco De Bourcard, un editore italiano di origini napoletane di cui si hanno pochi dati biografici ed anche molto poco attendibili,pubblicato nel 1866,  sui cippi , falò di Sant’Antonio, in occasione della festività del Santo il 17 di Gennaio, vecchia usanza napoletana, riportato  nella bella e storica opera Usi e costumi di Napoli dove raccolse in circa vent’anni scritti di Francesco Mastriani, Emmanuele Rocco, Carlo Tito Dal Bono ed altri con illustrazioni di vari artisti tra i quali i fratelli Nicola e Filippo Palizzi.

“…Un’altra divozione che à il nostro basso popolo per S.Antuono, ma che quanto prima dovrà pure sparire per opera delle guardie municipali, si è quella d’invocare da questo Santo, nella vigilia della sua festa che viene a’ 17 del mese di gennaio, protezione contro gl’ incendi; e per fare ciò tenta ogni mezzo da produrne qualcuno, facendo in ogni strada ed in ogni vico degl’immensi  falò di legname che brucia e che vien raccolto tutto in quel giorno da’ vicini del sito in cui si vuol formare il falò: quindi scatole, botti, porte, ceste e qualunque altro soggetto di legno vecchio e consunto che possa contribuire ad accrescere il fuoco è portato da’ vicini o gittato da’ balconi e dalle finestre in onore di S.Antuono .

Di tutto poi vien formata  una immensa pira o rogo, a cui sull’imbrunire della sera si appicca il fuoco, il quale deve consumarsi tutto fino a diventar cenere.

Tutto ciò forma la baldoria de’ monelli della strada ed il diletto di tutto il vicinato, che deve chiudere le finestre e i balconi per non restare vittima delle grandi colonne di fumo che ammorbano l’aria e per evitare qualche miracolo che potesse fare il Santo con qualche scintilla che introducendosi in casa vi appiccasse veramente il fuoco.
Abbenchè però in tutte queste nostre usanze si scorgesse quasi sempre una derivazione degli antichi costumi Greci o Romani ed abbenchè pure ve ne fossero ancora alcune che, per il loro tipo originale e caratteristico napolitano, tornassero sempre bene accette al curioso viaggiatore, pur tutta volta, per la civiltà de’ tempi e pel progresso, esse andranno a poco a poco a sparire dalla briosa città di Napoli, come con la istruzione del popolo sparirà ancora la sua superstizione;e sarà allora che questo libro rimarrà come un semplice documento storico nelle biblioteche.

Francesco de Bourcard



Il questuante, nel presentarsi alla porta del nostro popolano,comincia a suonare il campanello di ottone che tiene in una mano  ; e lo suona durante tutto il tempo che recita questa specie di preghiera in cattivi versi e nel dialetto napolitano:

Sant’Antuono abbate e potente

Libera sti devote da male lengue

Da fuoco de terra e da mala gente!

Mamma de la potenza

Dalle aiuto, forza e provvidenza

 E lo santo timore de Dio

Indi fa baciare la figura del Santo, che trovasi sul cassettino, dive si getta l’obolo per la elemosina. Poi, se mai  nella casa dell’operaio vi è qualche bimbo lattante, la madre fa bere un poco di acqua al fanciullo nel campanello del questuante,credendo così che il bimbo giunga a parlare presto e spedito. Questa è una delle tante superstizioni di cui abbondava il nostro basso popolo e di cui non ancora trovasi scevro del tutto,  nonostante il progresso e la civiltà de’ tempi:pur nulladimeno esse sono di gran lunga scemate e la istruzione popolare,di cui già si vede buon frutto, non tarderà a disperderle affatto….. (Francesco De Bourcard)